Antologia Critica
Tommaso Paloscia
Tommaso Paloscia
Nella fantastica rappresentazione del suo monodo, il pittore Silvano Morandi ha inserito gli incendi dei bosoni. Non è solo una variazione tematica nell’improbabile naturalismo che l’artista fiorentino affronta in complesse geometrie, ma un altro aspetto di quella sua profezia neobiblica che ammonisce, per ogni ciclo, dei mutamenti maturati dall’universo lungo la china del degrado. Già da alcuni anni la poetica di Morandi si è adeguata al succedersi degli eventi nei quali si identifica di volta in volta il danno provocato dalla supertecnologia le cui imprese fantascientifiche erano state preannunciate con diaboliche presenze stratosferiche, minacciosamente impegnate in missioni interplanetarie. Missioni distruttive, di morte. Poi di tutto questo si era perduta ogni traccia; anzi parve che tutto l‘apparato trovasse rifugio in una sorta di ricordo preistorico di cui le nuove immagini avvertivano solo per via indiretta gli esiti catastrofici; così come oggi noi, complici di leggende e di miti, amiamo ricostruire una storia misteriosa e suggestiva di Atlantide, continente sprofondato negli abissi. La realtà alla quale Morandi fa sempre riferimento anno vera gli incendi boschivi tra i sintomi più recenti affluiti nella sindrome apocalittica del mali che si avvierebbero a distruggere questo vecchio mondo al quale l‘umanità e legata da un rapporto di amore e di odio. Ma nella poetica del pittore l’elemento nuovissimo assume significati più reconditi, come di vaticinii che si proiettino oltre la fantasia perche preannunciano eventi che coinvolgono il dopo del dopo: una situazione atemporale tuttavia perché il periodo ultimo di questa pittura, nella sua parvenza di ritorno all’ordine, è già fuori del computo umano, privo ormai di riferimenti iconologici alle avventure astrali, alle invasioni cosmiche. E stato Nicola Micieli a chiedersi di fronte al clima di compiutezza serena suggerito dall’allineamento dei campi, dei filari degli alberi, alla bucolica visione della natura: che cosa <>. Alle risposte che il critico prospetta inserendole comunque in un‘area di calcolata progettualità in cui si manifesta la certezza della prevedibilità per un ciclo di eventi di <>, aggiungerei che è il meccanismo del gioco messo in movimento dal Morandi a creare inquietudini: perchè si basa su proiezioni <> di una realtà che egli, Morandi, ben conosce e di cui è lecito prevedere gli sviluppi, almeno quelli immediati. ll gioco consiste in quel parallelismo che è improprio perché non è detto che i due tracciati lineari si incontrino all’infinito ma anzi spesso si toccano e persino si sovrappongono nelle loro essenze simulate pur lasciando perfettamente paralleli gli aspetti esteriori; come |’avvicendarsi appunto delle stagioni in una natura che matericamente e inventata e di naturale ha poco, se non il riferimento morfologico sul quale il pittore insiste di proposito; come questo incendiarsi di boschi che sembra verosimile ma che, a pensarci bene e facendo mente locale sulla materia che brucia, non dovrebbe avere molto in comune col fenomeno dal quale realmente siamo angustiati e di cui Morandi è al corrente. Ma il fatto diventa premonitore e saturo di sinistre proiezioni proprio quando, come si e detto avanti, il pittore lo fa coincidere con il <>. Per cui l’evento assume una tragicità che può esser pari a quella della profezia di Nahum sulla orrenda distruzione di Ninive. Ed e chiaro che contribuisce alla finzione pittorica il modo creato dall‘artista per rappresentare quel parallelismo improprio: un modo che si e sviluppato per stadi, cosi offrendo la sensazione di un logico susseguirsi di situazioni drammatiche che noi riferiamo al nostro mondo per l’affinità ostentata delle morfologie; ed anche perché siamo indotti a giustificarne la trasformazione materica — in nessun modo giustificabile per via logica — in quanto certi di conoscere i precedenti <>, espliciti o sottintesi, che Morandi ci ha ofierto in questi ultimi anni. Negli <>, infine, l‘artista riavvicina la sua osservazione a quell’essere fisicamente assente dai suoi quadri, ma incombente, che è l’uomo. Nel senso che, messo da parte l’alibi (anch’esso di invenzione umana) col quale si vuole accreditare il fenomeno dell‘autocombustione, l’uomo si presenta qui nella più selvaggia delle sue vocazioni: la libidine della violenza e della distruzione che l’incendio simbolicamente compendia. E anche questo e nel gioco di Morandi: un gioco nel quale non riesci mai a identificare lo spartiacque che separa l’allusione effettiva e voluta dall’allusione fittizia e casuale; coincidendo quest’ultima, sul suo versante, con l’invenzione formale e poetica la cui ambiguità e nell’ordine naturale delle cose. Non e forse nell’ambiguità una delle migliori garanzie della creatività nell‘arte? Comunque, lasciando stare i contenuti e i significati che la simbologia, spesso computeristica, suggerisce nelle invenzioni del pittore, vien fatto di considerare la grande capacità disegnativa e le infinite suggestioni delle cromie che sono alla base di un tal modo di dipingere. Voglio dire che nell’analisi su questi parametri il giudizio si fa estremamente serio per cui l’arte di Silvano Morandi si eleva al di sopra della metafora di cui assume il valore ad ogni passo, per accedere allo spazio ambito dell’indagine estetica; e reclama giustamente che si giudichi la luce in essa espressa, che si prendano in esame i colori dal quali derivano le sue forme pittoriche, che si giunga a conclusioni critiche sul valori denunciati o suggeriti o realizzati dai suoi rapporti cromatici. E non può essere che un giudizio positivo.